Zoldo: valle del ferro e delle fucine Storia

Le attività legate alla lavorazione del ferro ebbero un importante ruolo nell’economia della valle di Zoldo tra il XIII e il XVII secolo. Numerose testimonianze attestano la presenza di strutture per la lavorazione dei metalli, mentre meno precise risultano le fonti sull'attività estrattiva, nonostante la presenza di numerosi siti minerari.
Segnali di crisi si manifestarono negli ultimi decenni del Cinquecento, già preannunciati dal crescere dei prezzi del minerale presso le miniere del Fursil a Colle di Santa Lucia. Il deperimento dei boschi, per necessità di legna e carbone nell’ alimentazione di forni, fucine e fusinele, denuda i fianchi delle valli raggiungendo, in questo periodo, l’apice, contribuendo a indebolire le produzioni. Altri motivi si sommano: il calo delle richieste di prodotti e la forte concorrenza esercitata, in modo particolare dai prodotti fabbrili bresciani. A questa difficile situazione si aggiunge anche la forte epidemia di peste del 1629-31, che sconvolge la situazione economica e sociale della valle.
In Val di Zoldo, dopo il 1600, rimangono in funzione alcune fucine per la lavorazione del ferro e per la rifusione dei vecchi rottami, che diventeranno, dopo la chiusura delle miniere del Fursil, l’unica fonte di materia prima.
Le fusinele raggiunsero l'apice della produttività nella seconda metà del XIX secolo. Un’attività che si organizzò nel 1873, per iniziativa privata, in una forma cooperativa: la Società Industriale Zoldana che riuniva chiodatoli e fabbri ferrai. Una delle prime società di questo tipo in Italia.
Le testimonianze di Riccardo Volpe, segretario della camera di commercio di Belluno, indicano che nel 1871 la valle di Zoldo era una delle più attive nel campo metallurgico della provincia di Belluno, con 150 operai al lavoro.
Nel 1872 nella sua relazione sul viaggio nelle Dolomiti Amelia B. Edwards, descrive Forno di Zoldo come un paese dalle numerose fucine e dal rumoroso commercio di ferro. Raccontando della presenza di numerose officine lungo le sponde del torrente Maè, dove gli abitanti, per la maggior parte fabbri erano impegnati nella produzione di chiodi, che poi trasportano faticosamente lungo l’attuale statale per Longarone per poi rifornirsi di ferro vecchio prima del ritorno.
Angelo Guerrieri nel 1874 pubblica un saggio che raccoglie le relazioni su l’Esposizione provinciale di Belluno nell’anno 1871, in cui indica che la società industriale impiega oltre settecento operai, nove fonderie e trentacinque stabilimenti con e senza maglio.
La Società fu tuttavia costretta in breve al fallimento, soprattutto per la concorrenza dell’industria dei chiodi a macchina e in conseguenza dell’alluvione del 1890 che trascinò con se la maggior parte delle strutture sulle sponde del Maè e dei suoi affluenti, portando via centinaia di posti di lavoro e testimonianze preziose.
L’artigianato del ferro e la produzione di chiodi continuarono poi per parecchi decenni. Rimasero poche le fucine operose nel periodo tra le due guerre, e concentrate in prevalenza in località Fain lungo il corso terminale del torrente Prampera, esse erano adibite quasi esclusivamente alla produzione di bullette, piccoli chiodi da carpenteria e brocche da scarpe. Il materiale veniva importato dalle altre province venete e dall’Austria o recuperato e fuso in appositi forni e poi lavorato in verghe da magli idraulici.
L’ultima fucina attiva della valle fu quella dei "Pascai " che rimase funzionante fino al 1853, era situata nella parte finale della Prampera; si producevano, oltre ad ogni sorte di chiodi, anche attrezzi di ferro necessari alla vita del paese.
Un’ulteriore forte alluvione, quella del 4 novembre 1966, colpí la valle di Zoldo causando notevoli danni. La parte intermedia del torrente Maè, ovvero il tratto che coincide col paese di Forno, è quella che ha sofferto maggiormente: in essa confluiscono infatti numerosi affluenti, e più a valle presenta lo sbarramento creato dalla diga di Pontesei.
La violenza delle acque determinò forti erosioni degli alveoli torrentizi trascinando a valle enormi quantità di detriti e con se le numerose fucine e mulini che si affiancavano sul corso della Prampera e sulle altre confluenze lasciando poche tracce e pochi ricordi. I necessari lavori di ripristino hanno poi modificato ulteriormente i luoghi, oggi molto trasformati. La violenza delle acque ha tuttavia portato alla luce due importanti relitti di magli di un tempo rimasti a lungo sepolti dai materiali detritici e ora conservati in valle. Nessuna fucina fu risparmiata dall’impatto delle acque se non la struttura della fucina di Pralongo, attiva probabilmente fino al 1950 e risanata nel 1997, che rimane una delle poche testimonianze dell’attività di quei tempi.
Testi e foto a cura dello Sportello Ladino di Forno di Zoldo